domenica 10 gennaio 2016

Laboratorio di Scrittura

Oggi ho partecipato ad una bellissima iniziativa portata avanti dall'assessorato di Rescaldina. In una suggestiva osteria della città, sono stati riuniti vari scrittori (dilettanti e non) di tutte le fasce d'età per passare una giornata intitolata "Il vizio di scrivere". Ognuno ha deciso un determinato argomento scrivendolo su un foglietto. A turno, abbiamo così tutti pescato argomenti diversi (il bello è che si può pescare anche il proprio; peccato non sia capitato).

L'argomento da me sorteggiato era in realtà un incipit: "Era una notte buia e tempestosa...", la classica frase che utilizza Snoopy (personaggio dei fumetti dei Peanuts) per aprire il suo perennemente incompleto romanzo.
Confermo che ha dato parecchi grattacapi pure a me ma, alla fine, ne è uscito un racconto che voglio condividere. Buona lettura! (a piè di pagina ci sono le note)



Era una notte buia e tempestosa… Non avevo mai temuto i temporali, anzi, da sempre li ammiravo per la loro magnificenza e per il loro potere rilassante sulla mia psiche; ma quella notte era diverso.

L'aria gelida s'intrufolava in camera per accarezzarmi il viso: un contrasto perfetto con il calore coinvolgente delle pesanti coperte che mi sovrastavano. Non riuscivo proprio a chiudere occhio, anche perché un freddo già tanto accentuato a Novembre non si vedeva dai tempi della regina Elisabetta. Allungai la mano per aprire il cassetto del comodino e cercare disperatamente un fiammifero. Finalmente la stanza apparve un po' meno spettrale di come la stavo stranamente percependo, anche grazie al profumo di miele di una delle candele di zia Marge che conservo maniacalmente nel secondo cassetto del como'. Mi avvicinai alla finestra: emanava un gelo penetrante. Il lato positivo del mio cattivo sonno era poter vedere il Surrey completamente addormentato, perdermi nell'oscurità dei campi di fronte alla mia casa e immaginare gli animali notturni del bosco immersi nella sua magia inspiegabile e unica. Sembrava che sognare ad occhi aperti fosse decisamente più facile che farlo coricata a letto. Chissà quali cose meravigliose accadevano nel buio della notte proprio mentre io ero lì, sola, nella mia grande casa. Quella casa che mai prima mi aveva turbata e messa in guardia come quella notte. Perché qualcosa di diverso, in realtà, c'era: un alone di mistero, una presenza.

Ma forse avevo solo bisogno di calmare la mente e rimettermi a letto lottando con me stessa per non finire a guardare il soffitto tutto il tempo. E proprio quando finalmente decisi di marciare sconsolata verso il materasso, qualcosa catturò il mio sguardo: la porta era socchiusa.
« Ma che diamine…? » pensai. Ero sicura avessi chiuso la porta a chiave, come facevo ogni sera. Lo sgomento iniziale si trasformò in una certezza: la sicurezza interiore che il momento era arrivato. Prima di quella notte non sapevo in che modo sarebbe accaduto, sapevo solo che il momento sarebbe giunto. Così, per un attimo, il mio pensiero andò alla mia cara nonna e alle sue dolcezze. Ricordai la saggezza dei suoi insegnamenti su quelle entità che abitano i piani più sottili e che sono meno facilmente percepibili della terra e con questo calore nel mio cuore, attraversai la porta che conduceva al corridoio.

Aprii con una lentezza spropositata la porta, curiosa e allo stesso tempo timorosa. Mi fermai qualche secondo con la candela in mano e lo sguardo fisso in avanti.

Non era la prima volta che ne vedevo uno di Elementale1 ma di sicuro fu quello che mi colpì più di tutti per la chiarezza e la retorica della sua forma: una piccola volpe con una zampa storta avvolta da un alone bluastro era alla fine del lungo tappeto verde del mio corridoio, sdraiata a terra e sconsolata come se avesse smesso di credere nella sua esistenza, come se si volesse lasciar morire. Mi avvicinai con cautela per paura di perdere l'occasione di parlarle.




« Oh povera creatura, che fai lì in terra? » domandai. Senza dubbio mi avrebbe risposto.

« Non vedi? » ribatté seccata, « Mi lamento con me stessa e mi dispero per la mia ingenuità. Per mia testardaggine e intenzione non seguii i miei istinti e urtai la zampa attraversando un fiume per arrivar dalla sponda opposta.».




La voce era chiaramente femminile e le parole venivano proferite senza che la creatura movesse un muscolo, come se risuonassero nella mia mente.




« E perché mai prendesti questa infausta decisione, piccola volpe? »

« Per dimostrar ai miei fratelli cuccioli che io sola potessi oltrepassarlo con abilità, pur andando contro a quell'istinto che mi proteggeva dal farlo. Infine, lo feci e la corrente mi buttò su di una roccia violentemente e persi il moto della zampa sinistra. Non fui volpe quindi prima per non aver assecondato il mio istinto e non lo fui mai più dopo per aver perso l'abilità di spostarmi con destrezza. Questo mi affligge e mi costringe a star qui. »




Rimasi ghiacciata in piedi a stillare qualche lacrima e riemerse tutto, tutto quanto.




« La tua storia mi ha commosso, piccola creatura, ma una domanda mi si presenta: hai mai tentato di tornare a muoverti?

« Non ne ho il coraggio né la giusta forza per farlo… Prima, incantavo gli altri animali con le mie corse che somigliavano a danze. Con i miei movimenti, portavo gioia e luce in tutto il bosco e sogni e stupore ai bambini delle case vicine ad esso. Ma i miei fratelli, invidiosi di tutto ciò, mi schernivano abbattendo il mio entusiasmo fino a che non mi chiesero di passare il fiume. ».

Chiusi un attimo gli occhi e mi immersi nel mio passato. Rividi me stessa al pianoforte le sere di Natale, nella chiesa del paese a far sorridere gli amici con le mie canzoni, nei pomeriggi estivi nella villa della zia Marge. Poi i 14 anni e la scuola: mio padre che voleva imparassi a far di conto per poter lavorare nella sua società a Londra, la pressione delle sue parole e le mille parti di me che iniziavano a reprimere sempre di più il mio amore per la musica. Il mondo che si faceva sempre più “bluastro” come l'alone che contornava la volpe. E poi il trauma, la sera del compleanno di mia madre quando le suonai la piccola suite che le avevo dedicato in stile barocco, che ama tutt'ora. È lì che ho voluto dimostrare alle parti razionali di me (i fratelli della volpe) che potessi sfidare mio padre (il fiume) pur sapendo che avrebbe preferito smettessi di suonare per imparare tutto ciò che mi avrebbe portato a finire nella sua maledettissima società di Londra.

Così tornò a casa quella sera e vide i libri di algebra chiusi sulla mia scrivania e me al piano con la mamma che mi baciava luminosa. Sbattè la borsa a terra e mi picchiò con le sue parole pesanti. Per lui non avrei potuto far altro che rovinarmi la vita con la musica, dato che le donne non hanno futuro né come compositrici né tantomeno come pianiste. Mi paragonò ad una zingara, a una cantastorie, a un pagliaccio inutile. È lì che urtai la mia zampa sinistra (sinistra perché della creatività e dell'intuizione) e finii per smettere di suonare col tempo specializzandomi in matematica finanziaria. Non ho mai rinnegato i miei studi, né il lavoro che faccio ora; ma sapevo benissimo che reazione avrebbe avuto mio padre quella sera e ne è conseguito che negli anni successivi avrei iniziato ad avere il terrore, la fobia di sedermi al mio strumento anche solo per sfiorarlo come si fa tra innamorati nelle giornate calde di Agosto. Così ora avevo una bella casa, vestiti eleganti, corpetti costosi e capelli con piume degli uccelli più esotici… ma avevo represso ogni atto creativo, anche le vecchie tradizioni della Dea Madre che mi insegnava la nonna quando ero piccola.




« Oh cara, misera volpe… Come ho potuto lasciarti lì a soffrire? Come ho osato non farti più divertire per i prati e per il bosco insieme agli altri animali? Dimmi, dimmi, te ne prego, cosa debbo fare perché tu mi perdoni?»




La piccola si alzò sulle zampe, tutte quante. La luce diventò rosea e piacevole e sempre più intensa e la creatura disse:

« Scrivi la mia storia con cinque righe, 2 bemolli e tre quarti2 e perdona tuo padre. Ormai, è molto più vicino a me di quanto lo sia a te3. Non dimenticarmi mai più o mi ritroverai a disperarmi su questo tappeto umido anche il prossimo 12 Novembre. »




È grazie a quella notte, buia e tempestosa, che scrissi un bellissimo valzer in si bemolle che sarebbe stato il primo di una lunga serie di brani che mi portarono a sentirmi ancora una piccola volpe dopo anni e anni di notti insonnie e dopo troppi centimetri di polvere sul vecchio piano di casa mia.

Ritrovai anche il coraggio di andare a trovare mio padre al cimitero di Highgate tutti gli anni al 12 di Novembre, il giorno in cui lasciò me e mia madre, pensando a tutti momenti passati assieme ad organizzare i nostri progetti. Con questa esperienza ero riuscita anche a cambiare il mio passato, i momenti lavorativi intrisi di freddezza vissuti con un padre che prima vedevo accecato dal progresso e dagli affari e che poi percepì come qualcuno che aveva semplicemente fatto il suo gioco in questa mia vita.

Senza di lui, non avrei mai amato tanto quella notte buia e tempestosa.
 
Note:
1: Un Elementale è un'entità che si viene a creare sul piano astrale a causa di continui pensieri o emozioni indirizzate ad un fine conscio o meno; è pertanto direttamente collegato al suo creatore. In questo caso, la protagonista ha creato un Elementale tramite i continui pensieri riguardanti la sua esperienza.
2: sono tutti termini musicali: le cinque righe sono il pentagramma, i due bemolli sono l'armatura di chiave e i tre quarti il tempo (tipico del valzer). 
3: si riferisce al fatto che, essendo un'entità astrale, sia molto più vicina lei all'ormai defunto padre rispetto alla protagonista 

domenica 3 gennaio 2016

Lo spreco della vita

Il post di oggi non è altro che un tema assegnato per le vacanze di Natale relativo ad un aforisma scelto da una serie in elenco. Ha avuto risvolti interessanti e così ho deciso di pubblicarlo. Buona lettura!

«Lo spreco della vita si trova nell'amore che non si è saputo dare, nel potere che non si è saputo utilizzare, nell'egoistica prudenza che ci ha impedito di rischiare e che, evitandoci un dispiacere, ci ha fatto mancare la felicità.»
Oscar Wilde

1882 --- Oscar Wilde, the Irish writer and literary critic, sits for a portrait during his tour of Canada and North America in 1882.  Wilde's wit made him famous and his flamboyance made him infamous. --- Image by © CORBIS

Continuamente immersi nelle proposte “assolutamente imperdibili” dei cataolghi porta a porta, imboscati nei negozi “tutto a 99 cents” abusivi dei cinesi e impegnati a cercare il parrucchiere più economico nelle vicinanze, spesso dimentichiamo il significato più decisivo e, oserei, più importante di spreco.

Non si spreca solo l'acqua, la corrente elettrica, il denaro: si spreca la propria esistenza, talvolta. Pensiamo a quante volte ci siamo pentiti di non aver amato abbastanza una persona, magari dopo essercene separati a causa di un lutto, un divorzio, oppure la sensazione che si ha quando si viene a sapere che qualcuno che fino a quel momento deridevamo o, ancora, con cui perdevamo facilmente la calma sta vivendo lui stesso una malattia, una perdita, un problema più o meno grave. Quella che si percepisce è la sensazione del risentimento, del senso di colpa per non aver amato abbastanza. Esso, in realtà, è deleterio e al contempo illusorio. È quindi sacrosanto che sia stato uno spreco non aver, magari, dato abbastanza amore, non aver aperto il cuore senza riserve nei confronti di queste persone, ma non di vita. Il nodo sta nel fatto che normalmente non si coglie il “gioco degli opposti” che governa la vita stessa, la dualità nella sua utilità (la conoscenza del bene e del male, per dirla con un'espressione biblica), ossia il fatto che sia necessario e inevitabile venire a contatto con la parte oscura della vita per poter capire e sapere che cos'è realmente quella lucente, bisogna pentirsi di non aver amato per amare successivamente, lasciando andare (gli anglofoni lo chiamano “letting go”) il pentimento stesso in una seconda fase.

Si percepisce come spreco anche il veder mal gestire il potere quando è nelle mani degli altri, quello di cui si parla nel detto “chi ha il pane non ha i denti e chi ha i denti non ha il pane”. Spesso sento affermare questo, sento dire da chi conosco che se avessero loro le possibilità che hanno altri (si riferiscono praticamente sempre a politici, parenti, amici che considerano più stupidi, etc.) allora avrebbero il mondo in mano, sarebbero dei manager di successo, sarebbero rispettati da tutti, avrebbero il potere temporale della Chiesa. Un'altra sciocchezza. In realtà, queste persone non hanno accesso a questo tipo di possibilità perché non avrebbero le capacità di gestirle. Senza entrare nei dettagli di come funzionano le leggi di attrazione e creazione della realtà (ampiamente discusse dai fisici), riporto l'esempio di chi vince i soldi al lotto e li sperpera nel giro di qualche mese (ho racconti accertati da parte di persone a me vicine). Ricchezza e potere così come povertà e sottomissione sono atteggiamenti interiori: inutile cambiare l'esterno se l'interiorità non è altrettanto sintonizzata sulle frequenze più elevate dell'abbondanza.


È infine sicuramente uno spreco di vita la staticità. Siamo esseri dinamici, in continuo cambiamento cellulare, emotivo, mentale: anche la nostra vita ha bisogno di questo. Essa è cosituita da cicli. Gli animali lo sanno bene e ce ne accorgiamo quando sentono lo stimolo di andare in letargo, quando emigrano da una zona all'altra del pianeta o quando risalgono un fiume in controcorrente. L'uomo è l'unico animale che sta imparando a non ascoltare questi suoi istinti utilissimi e facenti parte della sua natura. Ci facciamo prendere dalla “egoistica prudenza che ci impedisce di rischiare” ma anche dalla comodità della situazione da cui, inconsciamente, non riusciamo a discostarci e dalla paura delle emozioni negative attraverso cui dovremmo passare per liberarci di un peso (l'anatra non pensa al gelo delle correnti di vento che affronterà durante il volo: se ne va e basta!). Si ritorna sempre alla utilità della dualità: se non sto bene con me stesso perché i miei genitori non sanno che sono omossesuale, tenermelo dentro pur sentendo il desiderio di dirlo non farà altro che tradursi in qualche disturbo psicosomatico. Con questo non giudico chi, come un mio caro amico, a trent'anni ancora non ha trovato il coraggio di dirlo ai prorpi genitori: sono decisioni. Sto mettendo solo l'accento sulle conseguenze (lui, per esempio, ha la costante sensazione di nascondergli qualcosa e loro lo percepiscono). Questo è un caso particolare in cui gioca molto anche come potrebbero reagire venendo a conoscenza della sessualità del proprio figlio ma vi assicuro, sempre per esperienza diretta, che anche se non dovessero prenderla “bene”, chi si dichiara perché ne sente il desiderio cardiaco assume leggerezza e migliora la propria vita, anche se decide di andarsene di casa o se deve aspettare qualche anno prima che i parenti capiscano.

In ultima analisi, la felicità in vita si ottiene non sprecando le occasioni per amare, per cambiare la propria percezione del mondo e per osare il più possibile: c'è solo da guadagnare.


Vi segnalo un video esplicativo su che cos'è l'Abbondanza.
 https://www.youtube.com/watch?v=EmDPZW-pOFQ
Cliccando sull'immagine, sarete reindirizzati a un'intervista ad Igor Sibaldi, altro meraviglioso autore che consiglio se volete scoprire la Disobbedienza, lo Stupore e altri argomenti di fondamentale importanza per la vita su questo pianeta.